Onorevoli Colleghi! - Il decreto legislativo 30 ottobre 1992, n. 449, sui procedimenti disciplinari relativi al Corpo di polizia penitenziaria, necessita di un adeguamento dal punto di vista sia procedurale sia sostanziale.
      Il procedimento disciplinare in questione è ancora un procedimento prettamente inquisitorio, in cui l'obbligo del contraddittorio assume natura esclusivamente formale, eludendo la garanzia del diritto alla difesa dell'interessato e dei princìpi del «giusto procedimento» di cui alla legge n. 241 del 1990.
      Tale procedimento amministrativo presenta profonde analogie con il procedimento penale. Ciò avrebbe dovuto far riflettere sulla possibile introduzione, almeno per le sanzioni più gravi, delle garanzie del sistema accusatorio, proprie del sistema penale, atte a controbilanciare una larga discrezionalità.
      Le innovazioni che, negli ultimi anni, hanno interessato il diritto costituzionale alla difesa, nel sistema procedurale penale, o lo stesso procedimento amministrativo tout court, non hanno inciso sul decreto legislativo n. 449 del 1992 che, ormai, anche a causa del richiamo all'antiquato testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, manifesta profonde inadeguatezze.

 

Pag. 2


      Al fine di porre in essere un processo di semplificazione e di razionalizzazione della normativa in questione, è necessario anzitutto procedere all'abrogazione delle sanzioni della censura e della deplorazione, strumenti ormai obsoleti, e a includere alcune tipologie attualmente assimilate alla deplorazione tra quelle soggette alla pena pecuniaria.
      Il procedimento disciplinare inizia sempre con la contestazione all'interessato da parte del direttore o del funzionario istruttore che, ai sensi del combinato disposto degli articoli 12 del decreto legislativo n. 449 del 1992 e 103 del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 3 del 1957, deve essere mossa «subito».
      Tale locuzione vaga è stata interpretata dalla giurisprudenza amministrativa nel senso che il legislatore non ha inteso vincolare l'amministrazione al rispetto di un termine rigido e predeterminato ma solo a codificare una regola di ragionevole prontezza e tempestività.
      La maggior parte dei ricorsi giurisdizionali proposti, avverso l'irrogazione di una sanzione disciplinare, lamenta proprio il mancato rispetto dei requisiti della tempestività e della immediatezza della contestazione con conseguente violazione del diritto di difesa.
      Dunque, l'introduzione di un termine certo e perentorio entro cui effettuare la contestazione, tenendo in considerazione naturalmente l'ordinamento peculiare dei Corpi di polizia, è la seconda importante modifica che fornirebbe più ampia tutela del diritto alla difesa, e, contestualmente, ridurrebbe in modo significativo il ricorso al contenzioso giudiziario.
      Attualmente la fase istruttoria del procedimento disciplinare si diversifica a seconda che sia rilevata un'infrazione ascrivibile nel novero della sanzione più lieve della censura o, viceversa, si rientri nel campo dell'eventuale irrogazione della pena pecuniaria, della deplorazione, della sospensione dal servizio o della destituzione.
      In questi ultimi casi entra in gioco la figura del funzionario istruttore che, ricevuto l'incarico dall'organo competente di attivare un'inchiesta disciplinare, entro dieci giorni deve contestare gli addebiti al trasgressore, invitandolo a presentare le giustificazioni nei termini e con le modalità previsti nel procedimento, dopodiché svolge tutti gli accertamenti ritenuti da lui necessari o richiesti dall'inquisito.
      È stato evidenziato come la figura del funzionario istruttore, nel procedimento disciplinare, presenta particolari analogie con la figura del pubblico ministero nel procedimento penale. Esso si avvale, infatti, degli stessi mezzi di prova del procedimento penale: può procedere all'interrogatorio dell'indagato, sentire, senza vincolo di giuramento, testimoni, compresi quelli indicati dall'indagato, richiedere informazioni ad altri uffici.
      Dunque, analogamente a quanto previsto dall'articolo 415-bis del codice di procedura penale per il pubblico ministero, dovrebbe essere imposto al funzionario istruttore l'obbligo, e non una mera facoltà, di svolgere gli atti di indagine richiesti dal soggetto sottoposto a procedimento se pertinenti e utili nell'accertamento della verità ovvero di motivare rigorosamente in merito alla non pertinenza della richiesta l'eventuale diniego all'assunzione di tali mezzi di prova.
      I termini previsti per la conclusione dell'istruttoria devono essere ridotti e ritenuti di natura perentoria al fine di non aggravare la procedura e di permettere una celere definizione del procedimento a garanzia dell'indagato, che non può subire le conseguenze della inerzia o dei ritardi dell'amministrazione.
      Per quanto riguarda la composizione del collegio è da rimarcare come, nel caso delle sanzioni più gravi, sia totalmente assente una rappresentanza del Corpo di polizia penitenziaria, cosa che contraddittoriamente è prevista per le sanzioni di più lieve entità.
      Non è chi non veda come ciò sia del tutto irrazionale dal momento che la decisione del consiglio centrale di disciplina può comportare una sanzione maggiormente afflittiva e, proprio per questo,
 

Pag. 3

necessiterebbe di una rappresentanza del Corpo, naturalmente di qualifica superiore a quella dell'indagato, per apportare anche il punto di vista di chi svolge la stessa attività del soggetto.
      L'articolo 7 del decreto legislativo n. 449 del 1992 prevede ai primi suoi due commi che:

          1) l'appartenente al Corpo di polizia penitenziaria, in stato di arresto o di fermo o che si trovi, comunque, in stato di custodia cautelare, deve essere sospeso dal servizio con provvedimento del direttore generale dell'Amministrazione penitenziaria (sospensione obbligatoria);

          2) fuori dei casi previsti nel comma 1, l'appartenente ai ruoli del Corpo di polizia penitenziaria sottoposto a procedimento penale, quando la natura del reato sia particolarmente grave, può essere sospeso dal servizio con provvedimento del Ministro, su proposta del direttore generale dell'Amministrazione penitenziaria (sospensione facoltativa).

      Analogamente a quanto previsto dalla legge n. 97 del 2001, per i provvedimenti cautelari adottabili nei confronti del pubblico dipendente, è necessario applicare anche al personale della polizia penitenziaria la possibilità di trasferimento d'ufficio ad altra sede o di messa in aspettativa, lasciando ai vertici del Corpo la decisione discrezionale in relazione alla gravità del fatto.
      La presente proposta di legge affronta le questioni citate, recando, nell'ordine, all'articolo 1 l'abolizione della censura e della deplorazione, all'articolo 2 la previsione di ulteriori casi di applicazione della pena pecuniaria, all'articolo 3 la modifica dei casi di sospensione cautelare, agli arti-coli 4 e 5 l'imposizione di un termine preciso per la elevazione della contestazione e per l'avvio del procedimento disciplinare, all'articolo 6 l'integrazione del consiglio centrale di disciplina, all'articolo 7 la modifica del ruolo del funzionario istruttore.

 

Pag. 4